Balbo ricorda Mazzone: “Era come un padre. Grande tattico e motivatore”

Abel Balbo, che allenatore è stato Mazzone? 

«Un grandissimo. Gli volevo bene, eravamo due caratteri forti, ma c’è sempre stato il massimo rispetto. Una persona straordinaria, dal valore umano elevatissimo. Per i calciatori era come un padre  Sono venuto a Roma grazie a lui». 

Alla Roma ha vissuto i tre anni più importanti da allenatore. 

«Secondo me è stato sottovalutato. Era un tipo un po’ particolare per il modo di essere, di vestire, di parlare. Dava un’immagine distorta, ma era preparatissimo tatticamente. Il suo primo anno alla Roma è stato di assestamento, ma nei due successivi cercò di fare un calcio propositivo». 

Quella Roma aveva Balbo e Fonseca. 

«Ci volle fortemente lui. È stato molto bravo a capire che io e Daniel ci completavamo in modo perfetto». 

Era anche un grande trascinatore. 

«Preparava molto bene le partite dal punto di vista tattico, tecnico, motivazionale. Tutti ricordano come vinse quel derby per 3-0, dopo che per tutta la settimana dicevano che la Lazio era la gran favorita. Attaccò sui muri dello spogliatoio i giornali con i titoloni sui cugini e ci trasferì una grossa carica. Quella fu una delle più grandi soddisfazioni che si tolse, con la corso sotto la C urva S ud. Quando perdeva era intrattabile. Dopo l’immeritata sconfitta in Coppa Uefa contro lo Slavia Praga negli spogliatoi ci disse: “Annamoje a mena’!“».  

Sono tante le frasi di Mazzone che sono passate alla storia. 

«Sapeva conquistare i giocatori con le sue battute a effetto: “difensore scivoloso, difensore pericoloso”. Oppure: “palla su, aiutaci Gesù”. A me una volta mi prese da parte: “Abel, sei un po’ permaloso, preferisco non dirtelo davanti agli altri, ma datte una svejata”». 

Ebbe il merito di lanciare un certo Totti. 

«Quello era un altro calcio. Negli anni Novanta in Italia c’erano i migliori al mondo, la S erie A era il top. Era difficile per i giovani trovare spazio». 

Alla Roma sentiva ancora di più le partite, in particolare il derby. 

«In quegli anno si giocava sempre di domenica, lui in quel giorno era un’altra persona. Il derby poi lo soffriva, era cresciuto a Roma, era tifoso, aveva coronato il sogno di allenare la squadra del cuore. Solo dopo la partita si rilassava. In Europa non fu fortunato».  

Un uomo burbero ma che rispettava i suoi giocatori. 

«Quando perdevamo era furibondo, se doveva dire qualcosa a un calciatore lo faceva in modo diretto, ma con rispetto. Non l’ho mai visto litigare con un suo giocatore, tutti gli volevano bene, anche quelli che andavano in panchina. La sua qualità umana lo rendeva unico».

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